top of page

Il Razionalismo italiano: Terragni, Piacentini, Moretti.

Il razionalismo definito anche international style, non è stato semplicemente una corrente ma un modo di concepire l’architettura nel suo rapporto con l’uomo e con la società coinvolgendo i principali interpreti dell’architettura della prima metà del ‘900.

Questo movimento voleva trovare una soluzione alla questione del rapporto tra individuo e società moderna, questione tra l'altro sollevata con l’industrializzazione e l’urbanizzazione. Tra gli interpreti europei ricordiamo Gropius (fondatore della Bauhaus), Mies Van Der Rohe e Le Corbusier. Ciò che accomunava il loro linguaggio era la voglia di privilegiare l’aspetto funzionale dell’architettura eliminando il decorativismo e facendo in modo che la forma fosse subordinata alla funzione.


Nasce in questo periodo un nuovo rapporto più razionale con la produzione industriale, filtrata dai maestri del movimento moderno sotto forma di prefabbricazione, standardizzazione e modularizzazione dell’edificio, al fine di renderlo semplice, economico e veloce da realizzare. Questi indirizzi furono ufficialmente dichiarati durante il primo congresso del CIAM.


In Italia le prime tendenze razionaliste si sviluppano durante il fascismo con il “Gruppo 7”, un’equipe di architetti dell’area milanese operante nel 1926-1927 con lo scopo di rinnovare l’architettura tramite un equilibrio tra nuove tendenze e riferimenti alla classicità. Tra i principali membri del “Gruppo 7” figuravano Terragni, Figini, Pollini e Libera. Questi ultimi concepivano la tradizione come il fondamento del nuovo. Il compito degli architetti secondo il ” Gruppo 7” era di creare tipi semplici e logici, pochi e fondamentali, su cui poi agire perfezionandoli a seconda delle situazioni. Il codice di questa nuova architettura deriva dalle leggi costruttive del cemento armato: la disposizione planare dei solai, le ombre, l’alternanza tra pieni e vuoti. Semplicità, eleganza, classicità e funzionalità. Forme pure che siano analoghe a quelle della classicità greca.


L’altra esperienza italiana di quest’epoca è rappresentata dal MIAR (Movimento Italiano Architettura Razionale) a cui aderirono alcuni tra i più importanti archietti , tra cui Pagano e Michelucci, la cui proposta linguistica si basava sulla semplificazione e l’essenzialità delle strutture, sull’analisi logica delle funzioni, sulla razionalità. La prima mostra del MIAR si svolse nel 1928 a Roma con l’esposizione di progetti che furono molto criticati. Questi progetti prevedevano anche lo studio dettagliato dell’arredo interno, in modo che ogni particolare dell’edificio fosse studiato per dare funzionalità al tutto. Il MIAR si sciolse nel 1931 per dissidi interni ma l’opera dei razionalisti continuò. Essi trovarono modo di esprimersi sia tramite committenze pubbliche che private (ad esempio Terragni). Una parte della Borghesia del tempo commissionò progetti per abitazioni moderne; i migliori risultati si ebbero con l’edificazione di ville in zone isolate dove la fantasia dell’architetto poteva muoversi con più libertà.


L’architettura razionalista italiana è spesso definita “architettura di regime” in quanto nel periodo della maturità dovette convivere con il regime fascista. C’è da dire che il razionalismo aveva da sempre aspirato ad occupare il posto d’onore tra le arti dell’epoca. Inoltre, gli architetti razionalisti erano consapevoli di rappresentare una vera rivoluzione nel panorama italiano, una novità che andava di pari passo con la rivoluzione politica mussoliniana. Sicuramente i razionalisti si ponevano in modo problematico nei confronti del regime, avendo aderito ad esso non tanto per motivi ideologici quanto più per cercare dei riconoscimenti autorevoli e ufficiali per la loro forma d’arte. Il loro scopo era quello di migliorare la società e la vita delle persone con un’architettura più moderna e funzionale. E ciò cercarono di fare, grazie agli spazi messi a disposizione dal regime fino al 1936. Dal 1937 iniziò un progressivo allontanamento di questi architetti dal fascismo, fino a condurli (almeno in parte) a prendere parte alla resistenza.


La rivista di settore che riuniva inizialmente tutto il movimento razionalista era “La Casa Bella”. Fondata da Pagano e Persico nel 1933 assunse l’attuale nome “Casabella” diventando una delle principali riviste europee del settore. Tale rivista era in aperto dibattito con un’altra di nome “Quadrante”, diretta da Bardi e Bontempelli. Entrambe erano d’accordo sulla visione di un movimento internazionalista e portatore di modernità, mentre il conflitto si accendeva riguardo al ruolo dell’architettura e dell’architetto.

A livello linguistico e sintattico c’è da dire che non sempre l’inserimento dei nuovi edifici nel contesto urbano fu ben studiato dagli architetti razionalisti, e spesso si ebbero contrasti tra la nuova architettura e le pre-esistenze. Nel dopoguerra le teorie razionaliste mantennero la loro influenza e vennero sfruttate all’eccesso, fino all’impoverimento, alla speculazione edilizia. Nonostante ciò questa è la dimostrazione della grande validità di questa corrente architettonica, riscoperta e ristudiata solo negli ultimi tempi dopo decenni di abbandono.


Diversi sono gli interpreti del razionalismo italiano e parlare di tutti implicherebbe una notevole quantità di tempo. Per questo ho deciso di citarne 3, ognuno con caratteristiche proprie e distinguibili: Giuseppe Terragni, Marcello Piacentini e Luigi Walter Moretti.


Giuseppe Terragni (1904-1943)


La vita di questo architetto è stata veloce, breve e piena d’eventi. Ha contribuito in modo essenziale al rinnovamento dell’architettura moderna in Italia. Studiando il Costruttivismo sovietico e il futurismo di Sant’Elia, ha saputo produrre forme innovative per il contesto architettonico italiano. Il suo livello artistico e compositivo non si fermò al razionalismo poiché negli anni 30 (appena trentenne) iniziò già a cercare qualcosa di più innovativo. La sua indagine è culminata con la famosa Casa del Fascio di Como.

Uno degli elementi che contraddistinse l’opera di Terragni è la sua capacità di integrare le sue opere nel contesto urbano, come è evidente nel “Novocomum” e nell’ "Asilo Sant’Elia”, dove l’uso del vetrocemento e altri elementi decisamente innovativi sembrano voler creare una continuità tra interno ed esterno. Con la progettazione delle Ville Terragni si eleva ai livelli dei grandi maestri europei come Le Corbusier, da lui stimato e imitato al punto che nelle sue ville è possibile riscontrare i 5 punti della nuova architettura enunciati proprio dal progettista francese.

Terragni voleva attribuire alla sua opera un significato politico e lui stesso voleva apparire inizialmente come un fascista militante, traducendo ciò in architettura nei suoi edifici pubblici in cui lasciando a vista pilastri e travi voleva fare un paragone tra l’onesta della struttura dell’edificio e l’onestà del fascismo. In realtà questa volontà di Terragni era stimata ma non spalleggiata dal regime che preferì eleggere come rappresentante dell’architettura di regime Marcello Piacentini, nelle cui opere era presente il tanto amato accostamento tra il fascismo e l’Impero Romano.

Possiamo quindi dire che Terragni, nonostante la sua adesione al fascismo, creò qualcosa di assolutamente contrario ad esso, ai suoi valori, proprio perché lui era più vicino al primo fascismo, alla volontà di creare qualcosa di nuovo e rivoluzionario ma non di accademico o propagandistico. Fu sicuramente il più internazionale tra gli architetti. Per questo distacco dallo stile “neo-imperiale” piacentiniano, Terragni fu osteggiato, criticato e ostacolato dagli architetti fedeli a Piacentini fino alla dichiarazione di Vittorio Cini del 1937 in cui affermava che lo stile del fascismo era quello dell’Eur. Fu questo l’inizio dell’isolamento per Terragni e il gruppo di Como, accusati del reato di internazionalismo, di ricalco di un genere di arte “diffuso in tutto il mondo degli Ebrei e quindi in antitesi con le leggi razziali. T. soffri molto per queste accuse, perse fiducia nel fascismo ma non nelle sue idee architettoniche.

La sua opera di maggior successo è sicuramente la Casa del Fascio di Como, realizzata tra il 1932 e il 1936. Essa appare come un organismo compatto a pianta quadrata di 33m di lato, che si sviluppa in altezza fino a quattro piani (16,60m), elevata su un basamento che è un chiaro riferimento al padiglione di Barcellona di Mies del 1929. La modularità dei pieni e dei vuoti delle facciate è proporzionata secondo la sezione aurea e mostra la presenza di una grande corte interna. La struttura portante è rivestita in marmo. Il volume risulta compatto e armonico e fa percepire un’idea di movimento rotatorio. All’epoca quest’opera fu criticata fortemente da Pagano perché eccessivamente costosa e carente, a detta sua di quell’unità che è misura di un’opera d’arte. La rivista Quadrante invece esaltò la genialità con cui Terragni ha posto la materia al servizio delle esigenze umane. In ogni caso ha fatto storia e tutt’oggi è vista come emblema del razionalismo innovatore italiano.


Marcello Piacentini (1881-1969)


Piacentini è stato una figura piuttosto controversa nel panorama dell’architettura italiana nonostante forte legame con il fascismo che lo porterà che lo portò ad essere eletto architetto di regime.

Di notevole qualità anche se poco nota è la sua prima produzione, vicina al linguaggio Jugendstil tedesco e della secessione viennese. Avvicinamento favorito dai suoi viaggi giovanili in Austria e in Germania dove poté conoscere il protorazionalismo di Hoffmann e Olbrich. Queste suggestioni sono presenti nella sistemazione del cinema-teatro “Corso” in piazza S.Lorenzo in Lucina a Roma, in cui inserì elementi moderni desunti dall’ambiente nordico destando accesissime polemiche che lo costrinsero a cambiare il progetto pagando le modifiche di tasca propria. Prima del suo accostamento e inglobamento con il fascismo, il linguaggio di Piacentini era un neoclassicismo semplificato che voleva collocarsi a metà strada tra il classicismo del gruppo “Novecento” e il razionalismo di Terragni, Pagano e Libera. Nel 1929 fu nominato membro dell’Accademia d’Italia e da lì diventò l’architetto del Duce, trasformando il suo linguaggio in un monumentalismo propagandistico riscontrabile nelle sue opere dell’Eur a Roma e della città universitaria della Sapienza. In particolare con il progetto per l’E42, ossia l’esposizione universale di Roma che si sarebbe dovuta tenere nel 1942, emerge tutto il linguaggio monumentale dello stile Littorio: grandi colonne, statue, marmi, assi viari rigidamente ortogonali. Tutti elementi che hanno fortemente condizionato lo sviluppo di questa zona di Roma, fino ad allora inurbanizzata.


Piacentini è stato autore anche di alcuni sventramenti come quello della cosiddetta “Spina di Borgo” a Roma, da cui è nata l’attuale via della conciliazione (1936-1950), che ha mutato perennemente la percezione della basilica di San Pietro, facendola percepire come attualmente è nota in tutto il mondo, cioè dal lungotevere.La sua ultima opera, in coabitazione con Pier Luigi Nervi è il palazzo dello sport all’Eur (Roma) edificato per le olimpiadi del 1960. Alla sua morte cadde impietoso il giudizio distruttivo di Bruno Zevi, che lo definì morto nel 1925. Dopo decenni la sua opera è stata oggetto di rivalutazioni.


Luigi Walter Moretti (1906-1973)


Quella di Moretti fu una figura progettualmente estroversa, di vasta cultura e sensibilità. È stato uno dei protagonisti dell’architettura italiana del ‘900 il cui pregio è stato quello di sapersi calare bene in tutte le realtà in cui ha lavorato. Dagli edifici del Foro Italico alle palazzine nei quartieri di Roma che si elevano sobriamente dall’abitato circostante manifestando la mano esperta ed elegante del progettista che le ha curate. Negli anni ’30 divenne direttore dell’ufficio edilizio dell’Opera Nazionale Balilla, e in questo periodo progettò la famosa casa della gioventù a Trastevere (GIL). In essa ha dimostrato di saper lavorare con disinvoltura nella composizione di corpi edilizi funzionalmente diversificati, ognuno dei quali reclama nel lotto la propria autonomia figurativa. La complessa distribuzione planimetrica trova soluzione nella sovrapposizione delle tre palestre previste in origine in un unico blocco lasciato senza infissi di chiusura.


Nel 1934 sostituì Enrico Del Debbio al progetto del Foro Italico in cui curò la “Casa Delle Armi”, la “Palestra Del Duce” e il “Piazzale dell’ Impero”. La Casa Delle Armi è un’opera di piana modernità. È il primo edificio moderno rivestito in marmo lunense. Posizionato a Sud del Foro Italico è composto da due blocchi destinati ad ospitare diverse funzioni tra cui la sala della scherma. Il grande volume da 1000mq che è illuminato tramite una grande feritoia. Il Piazzale dell’ Impero analizza il rapporto tra preesistente e nuovo. L’impiego di un solo materiale, il marmo di Carrara, conferisce unità alla composizione.

Moretti non può essere ricordato solamente per le opere di regime. C’è infatti un Moretti progettista di edifici residenziali di notevole levatura, che non possono essere subordinati alla sua precedente fase “fascista”.

Un esempio è la palazzina del Girasole (1947-1950) situata a Roma, in viale Bruno Buozzi. È un parallelepipedo costruito su un basamento di travertino, il fronte principale è caratterizzato da una profonda cesura, una feritoia che ha la funzione di illuminare l’atrio e di separare in due la facciata, diventando elemento distintivo del progetto. Il coronamento dell’edificio è un frontone spezzato. Il fronte laterale del manufatto presenta un andamento a dente di segna, soluzione che permette una migliore illuminazione.

Altra palazzina degna di nota è la “Casa Della Cooperativa Astrea” (1950) situata sempre a Roma a via Edoardo Jenner. Il fronte principale in questo caso è esposto a Nord e per questo motivo Moretti ha scelto di chiuderlo, nonostante sia rivolto verso la strada per proteggerlo dai venti freddi. Le scale e gli spazi di servizio si trovano in facciata sulla quale Moretti solleva delle ali laterali che si staccano del piano creando degli spazi in cui inserisce bagni e cucine illuminati da feritoie.

Possiamo dire a margine di tutto che l’attività di Moretti è stata volta alla ricerca di una sintesi tra le diverse forme d’arte, dall’architettura alla scrittura, dalla pittura al teatro, con l'intento di progettare gli edifici avendo caro l’interesse per le scienze. La sua continua ricerca formale e artistica ha fatto di lui “l’ultimo dei moderni e il primo dei contemporanei”.


Casa Del Fascio - Como

Palazzina del Girasole - Roma

Palazzo della civiltà italiana - Roma

Novocomum - Como

Sede della GIL - Roma

Salva

Salva

Salva

Salva

Post in evidenza
Post recenti
Archivio
Cerca per tag
No tags yet.
Seguici
  • Facebook Basic Square
  • Twitter Basic Square
  • Google+ Basic Square
bottom of page